La vicenda COVID-19 può ben essere ricondotta ad una gigantesca “prova di stress” del sistema. A tutti i livelli: singoli individui, aziende e Pubblica Amministrazione.
Sono tre gli argomenti di rilievo: il ruolo avuto dei Social Network, la necessità di “continuità operativa” del sistema Paese (business continuity) ed il frettoloso rifugio nel “lavoro agile” (smart working) riscoperto dopo anni di colpevole letargo soprattutto della Pubblica Amministrazione.
I Social Networks.
Si sono qualificati come primaria insidia della Società. Questi hanno ancora palesato di non fornire alcun valore sociale, men che mai nella gestione delle crisi e della ricerca di informazioni. L’ effetto moltiplicatore di ansie ed insicurezze, alimentato sia dalle fake che dalle inutili opinioni personali dei singoli mittenti, non ha garantito qualità dell’informazione ma ha consegnato la Popolazione all’ isteria collettiva. Altro aspetto, ostile alle Persone, è stata la costante attività compulsiva. Decine di messaggini inoltrati e condivisi da una chat all’altra – tic invero diffuso nella Comunità nazionale – inducono la mente a ritenere che gli eventi stiano precipitando e tutti nel medesimo istante. In ultimo, l’impossibile verifica delle fonti (da molti equivocate con Internet stessa) che sembra essere un aspetto secondario, ignorato dalla Moltitudine piuttosto propensa, nel dubbio, a condividere comunque sia, tutto con tutti. Con effetti che non sono quelli positivi auspicati dal mittente ma realizzano una Torre di Babele ove l’Umanità in confusione languiva nel disorientamento.
Business continuity
Non scopriamo niente di nuovo, il concetto è serio e noto ma ben sottovalutato, soprattutto dalla Pubblica Amministrazione, se svincolato dal mero prospetto di sicurezza informatica così come previsto dall’art. 50/bis del Codice dell’Amministrazione Digitale (e piuttosto orientato verso il disaster recovery).
Di certo, va fatta una considerazione a proposito delle fornitura di servizi digitali: il “sito vetrina”, tipico degli anni ’90, si è fortemente evoluto in vera e propria avanguardia operativa delle Aziende (o, addirittura unica matrice di vendita, si pensi ai Colossi dell’ e-business) sia per poter abbracciare Utenza da ogni parte del Globo ma sia perché, nel mondo digitale, si riesce a captare un universo di informazioni commercialmente strategiche sull’Utente e la lettura delle sue tracce, negli spostamenti on line, fornisce una ricchezza senza precedenti.
Anche considerando l’Albo on line e la sezione “Trasparenza Amministrativa”, i siti delle P.A., invece, sono pressoché rimasti allo stato di mera “vetrina” pur nel trascorrere dei decenni.
Fatte le debite esclusioni di alcune fattispecie virtuose, la Pubblica Amministrazione non ha evoluto la propria presenza on line, per i seguenti motivi:
Poiché territorialmente delimitata (si pensi agli Enti Locali od alle Aziende ex municipalizzate) senza alcuna necessità di espansione dei propri servizi oltre il proprio territorio di pertinenza;
Poiché non interessate (a torto) a profilare i propri Utenti, per esempio, in base ai servizi più utili e graditi.
Per questa ragione, la qualificazione informatica dei Dipendenti pubblici non ha vissuto un salto di livello, complice anche l’avanzamento anagrafico patologico di cui soffrono le Amministrazioni e, conseguentemente, la qualità dei servizi connessi.
La questione COVID, invece, ha impattato quasi nell’immediatezza, l’intera collettività nazionale che si è trovata – di punto in bianco e per tanto tempo – a dover bilanciare l’isolamento degli Esseri Umani con la continuità lavorativa. Il primo frettoloso rifugio è stato il ricorso – invero anche improprio – allo smart working (ne esporremo in seguito).
Ciò che, già nella normalità, doveva costituire il primo fronte era il sito web aziendale (dell’ Ente) primo e vero riferimento dell’ Utente/Cliente nello spirito non già dell’ emergenza quanto nel clima di sviluppo ed affidamento nell’economia digitale fortemente auspicato a livello di Unione Europea e di cui i pilastri sono, in sintesi, il Regolamento EIDAS ed il GDPR.
Sarebbe davvero interessante, ad emergenza terminata, consentire ai Cittadini/Utenti “…di esprimere la soddisfazione rispetto alla qualità, anche in termini di fruibilità, accessibilità e tempestività, del servizio reso all’Utente stesso” ed avere la conseguente notizia circa “i dati dei risultati ivi incluse le statistiche di utilizzo” che la Legge impone vengano pubblicate nel sito web della P.A. (così l’art. 7.3 del Codice dell’Amministrazione Digitale).
Sono tre gli Attori dello sviluppo dell’ economia digitale: Aziende, Cittadini e Pubblica Amministrazione.
Ed invero, nonostante l’Agenda Digitale Europea, l’Agenda Digitale Italiana ed, in ultimo l’ Agenda Digitale Siciliana, la crescita si è registrata solo nel binomio Aziende e Consumatori mentre risulta troppo distanziato quello fra Cittadini e Pubblica Amministrazione in merito all’erogazione dei servizi on line.
Eppure, sono passati 15 anni dalla prima formulazione del C.A.D. quando prescriveva “…2-ter. Le regioni e gli enti locali digitalizzano la loro azione amministrativa e implementano l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per garantire servizi migliori ai cittadini e alle imprese, secondo le modalità di cui al comma 2.” Era ed è evidente che si tratta di un processo faraonico: digitalizzazione e riorganizzazione (concetti richiamati dal C.A.D. all’art. 15) non sono cose da poco.
Vi sono dei princìpi base ancora spesso inespressi in pieno:
Gli originali dei documenti delle P.A. sono solo informatici. La carta non dovrebbe esistere più e consentita solo “…ove risulti necessaria e comunque nel rispetto del principio dell’economicità”.
Nessun cittadino dovrebbe mai avere la necessità di recarsi di persona presso una P.A. (le pubbliche amministrazioni provvedono, in particolare, a razionalizzare e semplificare i procedimenti amministrativi, le attività gestionali, i documenti, la modulistica, le modalità di accesso e di presentazione delle istanze da parte dei cittadini e delle imprese […].
La pagina web di ogni Azienda od Ente è l’Azienda stessa che deve poter consentire l’accesso on line a tutti i servizi proposti (contrattualistica, accesso ai propri dati per modifica, aggiornamento).
Se, per un’Azienda, si tratta di una scelta importante del proprio Management, un Ente pubblico deve rendere conto ai Cittadini circa il proprio allineamento rispetto al concetto di dematerializzazione dell’attività delle P.A. così come postulato dal Codice dell’ Amministrazione Digitale.
Smart working
In questo scenario, Aziende ed Amministrazioni Pubbliche si sono trovate catapultate dal virus, antico e nostrano dell’inedia, a dover far fronte, con urgenza, ai seguenti impegni:
Ottemperare alle disposizioni governative lasciando a casa i propri Dipendenti anche per proteggerne la salute;
Garantire la continuità operativa dell’Ente (business continuity);
Difendersi dalla presenza del pubblico degli Utenti che si son ritrovati – per paradosso – da accodate vittime dell’ inefficienza degli Enti pubblici a potenziale veicolo di contagio ma senza una vera alternativa di accesso ai servizi tramite i siti degli Enti (rimasti a mera vetrina “anni ’90”).
Il frettoloso rifugio, come già anticipato, è stato identificato nel cd. “smart working”, il lavoro agile previsto dalla Normativa nazionale sia per il settore pubblico che per quello privato, già da alcuni anni ma con esiti risibili soprattutto nel settore pubblico (Legge 81/2017 per il settore privato, Legge n°124/2015 per il settore pubblico).
Nella fretta del momento, ogni attribuzione risulta passibile di valutazione critica. Per i seguenti motivi:
La modalità “agile” non è quella di stare a casa. L’agilità consiste nel poter “saltare” da un ambito all’altro (personale e professionale), nel corso della medesima giornata, senza vincoli di luogo e di orario ma legati essenzialmente al merito ed all’esito della prestazione lavorativa. Legge di grande civiltà e modernità, idonea nelle prime intenzioni del Legislatore a garantire una serena e proficua coesistenza delle due vite del Dipendente: quella privata e quella professionale. Per il settore pubblico, si ricorda l’articolo 14 della L. 124/2015 (di riforma della Pubblica amministrazione), che detta norme volte a favorire e promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche. In particolare, si dispone che le amministrazioni pubbliche adottino misure organizzative per l’attuazione del telelavoro e di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa, anche al fine di tutelare le cure parentali. Proprio le cure parentali sono l’argomento di punta a seguito della chiusura delle scuole e la conseguente permanenza prolungata dei figli – infanti – a casa. È dunque rimasta disattesa la disposizione che avrebbe consentito un naturale traghettamento delle modalità operative utile sia alla continuità del lavoro che con la possibilità dell’accudimento della prole.
Ancora, nell’esempio delle scuole, le modalità di insegnamento a distanza si sono ritrovate davanti al muro della fretta e della impreparazione. Fra l’altro aprendo una voragine nel solco generazionale delle competenze: in tema di nuove tecnologie, gli alunni sono i professori e gli insegnanti gli scolari (impreparati). La fretta (ma non solo) ha consegnato tutti i nostri figli nelle mani della Classroom di Google, pronto ad incassare il prezzo della propria competenza pagata con la privacy dei nostri figli.
Il lavoro da casa richiama due sostanziali basi che non sono state riscontrate nelle scelte frettolose:
la dotazione tecnologica a disposizione di ogni lavoratore per poter ottemperare alle proprie mansioni fuori dal luogo di lavoro (Art. 18 legge n° 81 del 2017)
la sua formazione informatica per poter lavorare con dotazione altamente tecnologica nel rispetto del patrimonio dell’Ente: non solo hardware ma anche dati ed informazioni. (Formazione informatica dei Dipendenti Pubblici, art. 13 del Codice dell’ Amministrazione Digitale).
Come anticipato, la Norma favorisce il superamento della logica tabella oraria/quantità di lavoro con una nuova modalità di lavoro affrancata da limiti del luogo e dell’orario e più professionalmente proiettata verso un lavoro per obiettivi più che per orari (così va letto il significato dell’art. 18).
Si intreccia con i concetti di business continuity e, per molti aspetti, anche con quello di disaster recovery.
La fretta dell’emergenza (il peggior scenario per organizzare processi) ha indotto, un’altra soluzione più semplice e veloce: l’uso dei dispositivi personali abilitandoli all’accesso nei sistemi interni dell’ Ente o dell’ Azienda: BYOD è proprio la sigla che identifica: Bring Your Own Device.
Quale potrebbe essere l’impatto di tale frettolosa abilitazione:
Questioni di privacy del Lavoratore sia ai fini di GDPR che di Statuto del Lavoratore (il celebre art. 4 e le questioni legate al divieto di controllo a distanza del lavoratore) ma non solo: l’uso dei propri dispositivi espone maggiormente il Lavoratore al ridimensionamento del cd “diritto alla disconnessione” postulato dalla medesima Legge 81/2017.
Tutela dei dati dell’ Ente/Azienda che potrebbero essere scaricati, in locale, nei dispositivi del Dipendente esponendo il Titolare del Trattamento a seri rischi di data breach e conseguenti sanzioni.