Dal “controllo a distanza” al controllo della vita privata: app e social aziendali.
Nuove frontiere di sfida ex art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (Dlgs n° 300/1970)
Intromissione scevra da parametri di logico collegamento con le mansioni, per cui un eventuale conoscenza di aspetti privati possa avere un requisito di importanza ai fini delle mansioni lavorative. Il controllo normato dal Legislatore del 1970 era, di fatto, non solo prettamente fisico od, al limite, delegato alle telecamere ma, soprattutto , anche nell’epoca dei computer, limitato al solo luogo di lavoro.
La previsione legislativa, dell’epoca, non conosceva altro luogo in cui tale controllo potesse esercitarsi. E’ stato l’avvento del connubio telefonia/informatica e tutti gli sviluppi (ancora in corso) che ha imposto una seria riconsiderazione della lettura dell’art. 4 dello Statuto. Tutta l’intrusione che l’evoluzione tecnologica permette ad un’Azienda, verso i propri Clienti, solo per esempio profilazione e monitoraggio, potrebbe essere canalizzata verso i propri Dipendenti. Strumenti apparentemente di uso comune e non lavorativo, quali app e social, sarebbero idonei a fornire informazioni, anche al Datore di Lavoro, su aspetti vari e completi della vita extra professionale del Lavoratore. Il loro naturale uso, con utente volontario e partecipativo, produce l’acquisizione di informazioni spontaneamente, senza consapevolezza e tali dati sono ben ultronei rispetto a quelli utili e necessari per l’obbligazione lavoristica.
Uno spunto per approfondire la riflessione, lo ha fornito un recente esempio di un’ Impresa assicurativa, inducendo i propri Dipendenti a partecipare alle iniziative di volontariato, della Fondazione dell’ Azienda stessa, prevedendo, come unica forma di adesione all’iniziativa, l’iscrizione tramite APP.
Tutti i Colleghi che volessero fornire un proprio contributo di tempi e competenze per i bisognosi, cioè, sarebbero obbligati a scaricare un’ APP dagli store di Google od Apple.
L’aspetto che spinge alla riflessione, infatti, è che, per potere scaricare l’ APP – prescindendo se nel dispositivo aziendale od in quello personale – ai Colleghi è richiesto di utilizzare il proprio account Google (o di crearne uno nuovo). A parte tutte le interconnessioni che il Motore di ricerca può immediatamente fare sul soggetto, in tutti gli altri ambiti tenuti sotto osservazione, per poter dare il proprio contributo sociale, il Lavoratore dovrà obbligatoriamente condividere con l’ App aziendale e con Google: immagini, video, audio della propria vita privata (figli, famiglia, amici, passioni, magari codici riservati od altro), la propria fotocamera (non è specificato per quale utilizzo) nonché i dati delle chiamate anche dal telefono personale.
More solito, senza la possibilità di poter esprimere un consenso differenziato e senza che venga esplicitata la finalità di tali acquisizioni, ricorrendo la solita, palese ed ingiustificata, violazione del disposto della Normativa privacy in materia.
E’ una gaffe aziendale che emerge. Tutto ciò, con l’aiuto verso il prossimo, è un “tantino” fuori contesto. Per quale motivo la partecipazione ad un’attività benefica, per carità, di alto valore sociale, dovrebbe essere sottoposta al rischio di intrusione nella vita privata di una Persona che porta lo status di Dipendente, con tutte le criticità di trattamento conseguenti?
L’interpretazione del disegno che ne viene fuori – certamente involontario – potrebbe essere quella di un accompagnamento del Dipendente in un ambiente “terzo”, idoneo a recepire informazioni e dati su di questo per profilare meglio personalità, usi, opinioni, idee e contatti del medesimo. Con questo schema, non sarebbe impossibile, insisto nei verbi al condizionale, un incrocio con le informazioni detenute – queste sì, legittimamente – dall’ Azienda in ordine al rapporto contrattuale.
Che mi risulti, le Aziende non prevedono l’utilizzo di utenze private ed extra lavorative, del Personale, per finalità d’uso lavorativo quotidiano.
A questo punto, lascia anche pensare l’accordo, della medesima Azienda, proprio con Google che “…affiancherà gli esperti dell’ Impresa nell’ideazione e industrializzazione di prodotti e servizi innovativi”. Accordo che fa leva sui mezzi che Google può mettere a disposizione”.
Nulla vieterebbe, al buon rendimento del volontariato, di raccogliere adesioni tramite tutti i Portali di vita aziendale. E’ così necessario, quindi, indurre i Lavoratori all’accesso ai social, con le proprie utenze personali? Siamo consapevoli che tale passaggio consegna le chiavi di casa utilizzando “…i mezzi che Google può mettere a disposizione”?
La partecipazione al volontariato della Fondazione aziendale è giustamente auspicata dall’ Azienda. La Survey 2019 prevedeva proprio una precisa domanda, fra le prime, chiedendo risposta se il Dipendente avesse aderito, o meno, al progetto di volontariato sociale.
Così facendo, però l’induzione all’uso dei social e delle APP aziendali si è proposta nel modo sbagliato. Non è vero che sia sempre necessario scaricare APP nel proprio dispositivo od accedere con proprie utenze personali. A maggior ragione per una semplice iscrizione. Il resto delle informazioni potrebbe seguire i consueti canali di informazione attraverso i siti istituzionali.
Questa scelta profila uno scenario che, duplicando le attività di profilazione dei Clienti adesso verso i Dipendenti, renderebbe teoricamente possibile una nuova generazione di ipotesi di controllo potenzialmente attivabili dal Datore di lavoro. Questo non sarebbe limitato ai luoghi ed alle ore di lavoro, come previsto nel lontano 1970 ma anche in tutti i luoghi ed i momenti della vita personale, concedendo ad un partner terzo, il diritto di accesso a dati personali del Dipendente (foto, video ed informazioni sulle chiamate del suo telefono).
Il meccanismo teoricamente realizzabile, si presenta insidioso poiché è apprezzabile la veste apparente (la solidarietà). Questo induce a non attivare difese (la base è la volontarietà alla partecipazione) pur con una certa insistenza e pressione psicologica (la Survey).
Con tale scenario, sarebbe facile e possibile insinuarsi nei meandri più riservati del Lavoratore.
Per quanto non utilizzabili le informazioni così eventualmente acquisite sulle Persone dei dipendenti, il futuro immediato dovrà determinare il Sindacato a leggere, quale potenziale forma di “controllo a distanza evoluto”, l’induzione all’uso dei social e delle APP, da parte dell’ Azienda verso i propri Lavoratori. Almeno nei casi similari che prevedono l’uso dei propri account personali ed il coinvolgimento di partner così ingombranti per la tutela della privacy dei Lavoratori.
Una sorta di versione 2.0 da sottoporre – magari, perché no? oramai c’è da prevedere di tutto –alle forme di concertazione codeterminativa previste dall’ art. 4.2 dello Statuto.
Sono tutti elementi che possono favorire o stroncare percorsi di carriera, fiducia o considerazione aziendale. Qui le Organizzazioni sindacali scontano una certa impreparazione sul fronte della tutela della privacy, se parametrata alla sfida delle nuove tecnologie, difficilissime da comprendere, a priori, nel loro potenziale intrusivo nella vita privata della Persone e, quindi, dei Lavoratori.
Dovrà essere ruolo primario, del Sindacato del Terzo Millennio, quello di difendere la Persona che lavora dai rischi della tecnologia quale sistema di controllo implacabile e conoscenza occulta, promuovendo fra i Lavoratori una forte cultura del rifiuto di concedere informazioni a tutti i servizi informatici “gratuiti” dei Motori e Portali mondiali. Citando la Apple: “Quando un servizio informatico è gratuito, tu non sei il cliente ma il prodotto”.